lunedì 30 novembre 2009

IL MESSAGGIO DELL’IMPERMANENZA
SOGYAL RINPOCHE’
RIGPA – DIFFUSION VHS PAL

“Abbiamo perso il Tibet; ho accettato abbastanza bene questo cambiamento, ma mi sono stupito dell’attitudine dei miei vicini.
Se la volontà del Buddha è di insegnarci che tutto è impermanenza, quello che ci è capitato ci ha fatto entrare ancor più profondamente nella condizione di impermanenza.
Invece di farci cadere nello sconforto, ci ha portato ancora più vicino a casa: nella verità dell’impermanenza e ci ha fatto più forti.”



CONFERENZA, 26 OTTOBRE 1994
(Eseguita in inglese con traduzione quasi simultanea in francese)

Perchè riflettere sulla morte, pensare alla morte, perchè ?
Perché è la questione più importante, eppure la evitiamo.
Se non affrontiamo la morte manca qualcosa nella nostra vita.
Ma se la guardate normalmente, oltre i tabù e l’ignoranza, non è così brutta come la si descrive.
Ci sono tante piccole morti nell’esperienza quotidiana; tutte queste piccole morti accettano la morte. Non è la grande morte, ma ci sono tante piccole morti nella nostra vita e dobbiamo accettarle. Accettando queste piccole morti creiamo legami con la vita e possiamo capire e accettare la morte.
Se toccate il vostro cuore ed esso batte, siete vivi, è vivo.
L’orologio che batte è vivo, se smette di battere si dice che è morto.
Costantemente siamo sempre in movimento, cambiamo; è l’impermanenza stessa che ci tiene in vita.
L’impermanenza esiste in ogni caso, non è il nemico, non accettandola evitiamo la realtà. Non abbiamo altra scelta che affrontare l’impermanenza, cioè che è meraviglioso che l’impermanenza ci dà un’occasione per cambiare, per crescere, vi offre una nuova vita, una resurrezione.
La morte è legata strettamente alla vita, tiene le chiavi della vita.
Quando si pensa alla morte è sempre negativo, ma nella conoscenza spirituale non è così; la morte è vista come uno specchio nel quale il vero senso della vita è riflesso: vi dà le chiavi per trasformare la vostra vita.
È per questa ragione che i grandi maestri contemplativi, anche della tradizione cristiana…c’è questo detto presso i monaci trappisti: “memento mori”: ricordati della morte, perché se ti ricordi della morte ti ricordi che sei vivo.
Se non vi ricordate della morte e dell’impermanenza siete realmente morti, non fate che esistere, semplicemente; vivete peggio di un computer, un robot.( Pas un robert, mais un robot; adattatevi al mio senso dell’humor).
Vi racconto una storia contenuta nel libro, del mio maestro… che arrivato in Francia sta viaggiando da Parigi a Dodogne (?).
Dalla finestra vede una serie di nuovi cimiteri appena costruiti: nuovi fiori, nuove tombe, tutto pulito e colorato. La donna che accompagna il maestro gli fa notare com’è civilizzata questa gente, come sono puliti e curati i loro cimiteri. Ma il maestro risponde in maniera ironica: “come sono civilizzati! Non solo hanno cose meravigliose per le spoglie mortali, ma hanno cose meravigliose anche per le spoglie viventi!”
Non si è veramente vivi se non ci si pone delle domande. Si dice sempre che in quanto umani usiamo il discernimento e l’intelligenza: non bisogna essere come robot e accettare tutto quello che ci arriva: ebbene quello che si accetta è la permanenza.
Bisogna mettersi in questione e cercare la verità in se stessi.
Se riflettete sulla morte non lo fate solo per essa, la morte non è che un velo, un sipario, la parte visibile, ma dietro alla morte c’è veramente quello che la morte rappresenta, il senso della vita.
Quando riflettete sulla morte e vivete nell’immediatezza della morte, se realizzate che potreste morire in ogni momento allora intuite con forza che la vita è molto preziosa, è un’occasione unica, che bisogna farne qualcosa, e che bisogna dare un ordine alle proprie priorità.
Ecco la parola di un altro maestro che è venuto in occidente molte volte e a cui molti studenti hanno posto domande una delle quali fu: “ maestro, che cosa ne pensate dell’Occidente?”
Disse una cosa che mi colpì: ”Qui in occidente la gente spreca il proprio tempo!”
Ma come! siamo così occupati, facciamo continuamente tante cose. Ma è proprio nella maniera… di come siete talmente occupati che state sprecando il vostro tempo. Siete così occupati che non avete il tempo di mettervi in questione e vedere, osservare.
Avete mai notato quanto usiamo il nostro tempo per mantenere la vita, la nostra vita? È come una persona che esegue per tutto il giorno lavori domestici e non trova il tempo nemmeno per farsi una passeggiata, non fa che mantenere pulita la casa: i piatti da lavare, la biancheria da stendere, eccetera; e quando ha finito ecco che ricomincia da capo: il pranzo, i piatti da lavare, eccetera.
Ma è questo il vero senso della vita? Accudire la casa? Questo è buono, ma quando arriva il momento che realizzate in un momento... improvvisamente realizzate che la morte è uno specchio in cui si riflette tutta la vostra vita, il senso della vostra vita.
E quando la morte arriva, vorreste aver vissuto in maniera differente, perché alla luce di questa verità rivelata, della morte, realizzate lo scopo della vita, e quando guardate la vostra vita c’è un rimorso tremendo: avete sprecato la vostra vita.
Non dico di smettere di mettere in ordine o di pulire la casa, un po’ di manutenzione ci vuole, ma ci vuole un certo equilibrio. Bisogna prendersi cura della propria vita, ma anche interessarsi delle cose realmente importanti della vita… e se lo fate e venite a conoscenza delle cose veramente importanti e del senso veritiero della vita, contemporaneamente, e questo è interessante, se lo fate vi prenderete cura anche della vostra vita materiale, di questa vita.
Perché quando riflettiamo sulla morte e sul senso profondo della vita, allora cominciamo a pensare differentemente: nell’immediatezza della morte, comprendiamo il senso di ciò che stiamo diventando.
Ed è così che riflettere sul vero senso della morte è il miglior modo per prendersi cura di questa vita.
Nell’introduzione del libro, il Dalai Lama dice essenzialmente una cosa: potete leggerlo con calma, me se non ne avete il tempo potete portarlo con voi quando andate al gabinetto (have a good shit) e leggendo dell’impermanenza, lasciate andare...

Qualcuno mi ha ricordato che è molto importante il modo in cui lo si legge: c’è una maniera morta e una viva, o contemplativa. Ciò che si riesce a capire leggendolo può cambiare a seconda dell’ambiente in cui lo si legge o in che condizioni psichiche ci troviamo; ed è pertanto lo stesso libro.
È una guida di riflessione, di pratica.
Cos’è la pratica? In tibetano questo nome vuol dire prendere dentro, interiorizzare, contemplare; trasformazione della vostra visione, del mondo, della politica, delle vostre priorità.
I grandi maestri contemplativi quando andavano a dormire meditavano su ciò che avevano fatto durante la giornata: distinguevano su ciò che era benefico e su ciò che non lo era, non solo riguardo a questa vita, ma anche riguardo a quella seguente. E facevano un piano sistematico analizzando le negatività e le positività continuando ad analizzare, facendo un bilancio di come cambiava la situazione.
Bisogna sempre domandarsi se sto facendo qualche cosa che è importante, che vi aiuterà quando morirete.
Cioè, quando fate qualcosa domandatevi: “mi aiuterà quando morirò?”.
È una bella maniera di MISURARE (fa la bilancia con le mani).
Se qualche cosa vi aiuterà nel momento della vostra morte, non solo vi aiuterà in quel momento ma vi aiuterà per tutta la vita, nella vita futura, perché morte vuol dire futuro.
Noi pensiamo che questa vita, ma non la pensiamo come veramente importante….
Facciamo un esempio: la nostra vita dura cento giorni, cento giorni è come tutte la nostra vita, un giorno è questa vita, il presente: cosa è più importante? pensare a tutta la vita o solo a un giorno.
Quando pensate profondamente alla morte, pensate a tutta la vita, a tutti i cento giorni, non solo alla vostra giornata.
Non ha importanza che crediate o meno alla vita dopo la morte, questo non si sa.
Ecco una cosa molto bella: potete anche pensare che non c’è una vita dopo, ma ugualmente non sapete se c’è o non c’è una vita dopo. Certe volte io perseguo le persone e dico: ok, non credete nella vita dopo la morte, e voi morite, e c’è una vita dopo, cosa fate allora? Bisogna avere un’assicurazione per questo.
Se voi prendete cura della vostra vita, riflettendo sulla morte, e non solo facendo manutenzione della vostra esistenza (homme de ménage), ma se prendete cura del senso totale della vostra vita, poi, realmente, prenderete cura anche della vita dopo, delle vite future, e se non ce ne sono, prenderete ugualmente cura della vostra vita attuale; è sicuro, è una buona assicurazione.
La cosa più importante è capire che è stupido sprecare tutta la vita solo per questa vita.
La vita è molto precisa (?).
Se riflettete sulla morte riflettete sui significati della vita.
In particolare, se riflettete sull’immediatezza della morte, questo vi sveglia.
Pensiamo che viviamo eternamente, che siamo fortunati e un giorno improvvisamente moriamo.
È per questo che una delle cose più importanti è riflettere sull’immediatezza della morte ed è per questo che il praticante si ricorda ogni giorno che questa vita è preziosa, ma che possiamo morire in ogni momento.
Viene senza annunciarsi, è reale: di fatto questo corpo diventerà un cadavere. In tibetano “corpo” equivale a “ciò che si lascia indietro”. Perché quando si muore lo si lascia indietro, e cosa viaggia? Cosa procede? Lo spirito, il cuore, tutto il karma.
Bisogna lasciare questo dietro di noi.
Quello su cui bisogna lavorare è quello che dura più a lungo.
Si dice sovente che riflettere sull’immediatezza della morte è il gancio della disciplina. Perché se ogni giorno riflettiamo sulla morte, scopriremo il vero senso della vita. Interessante, vero? Ironico!
Ricordandoci della morte scopriamo il senso della vita.
Poniamo un esempio: avete preso la vita per una cosa acquisita, sicura; fate un viaggio in aereo, volate e a un certo momento l’aereo comincia a tremare e ballare ed è sul punto di cadere, in quel momento vi accorgete quanto è preziosa la vita e avete paura. Ma poi il tremore delle ali cessa e atterrate e siete salvi e allora fate ogni genere di preghiera e ringraziamento al dio in cui credete, siete pieni di gratitudine, e fate ogni genere di proposito per ringraziare, siete riconoscenti e ispirati, ma poi tutto passa e dimenticate.
Ma non abbiamo bisogno di questo.
Prendiamo il caso di quando perdiamo un amico o uno che ci è vicino: improvvisamente muore, questo ci sveglia e andando al funerale ci si ricorda che possiamo morire in ogni momento. E dopo il funerale tutto è dimenticato.
Non dobbiamo dimenticare che siamo mortali, non siamo immortali. Moriremo e dobbiamo riflettere a questo.
Per esempio stasera, dovete prendere la metro per tornare a casa e siccome è tardi è l’ultima corsa e dovete assolutamente essere sicuri di non perderlo.
Non perdete il bus, non perdete la vita!
Vivete nell’immediatezza della morte!
E poi dell’impermanenza; perché la morte è legata strettamente all’impermanenza.
Di fatto la morte vive grazie all’impermanenza.
L’impermanenza è la vita della morte.
Di fatto: vita uguale morte, morte uguale vita.
Riguardo a ciò quando vedere profondamente l’immediatezza della morte, vi aiuta a organizzare le vostre priorità e a dare un senso alla vita.
Nel libro ci sono racconti di persone che hanno avuto esperienze prossime alla morte e che hanno trasformato la loro vita: hanno visto la morte e alla luce di questa esperienza hanno realizzato quanto questa vita è preziosa e si trasformano, trasformano la vita.
Non c’è bisogno di morire, ma di fatto siamo tutti sul punto di morire, capite? Siamo tutti dei morenti.
Andiamo in India: entriamo in un hotel appena costruito, nuovo, scintillante e poi ci tornate dopo un anno e realizzate cos’è la morte!
Anche i monumenti muoiono molto velocemente, ecco perché bisogna continuamente lavorare per mantenerli, ci sono molte spese, a causa dell’impermanenza.
Ogni cosa è in procinto di morire: non avviene in un attimo, ma lentamente tutto sta morendo, a poco a poco.
Le cose non diventano vecchie subito, ma lentamente e costantemente; ebbene se avete intuizione di ciò riuscite a realizzare la visione di questo continuo cambiamento, questo flusso.
Tutto cambia costantemente, il nostro spirito cambia costantemente.
Quando realizziamo che tutto è impermanente allora non abbiamo scelta: dobbiamo accettarlo. Di fatto non è qualcosa che dobbiamo accettare; non è qualcosa di doloroso. Se lo comprendete realmente, è una gioia, è un sollievo, perché ciò a cui pensavate di attaccarvi nella paura che non duri… e poi all’improvviso tutto se ne va, se ne va ed è un sollievo.
Come in certe relazioni: vi attaccate e tenete duro, pensando che sarà doloroso mollare, e di fatto poi si dimostra un sollievo. Perché tutto è impermanente, perché tutto cambia: bisogna guardare più profondamente, intuitivamente e poi c’è un coraggio, un’apertura, una ricettività e poi scoprite che guardare l’impermanenza è di fatto molto piacevole, non è doloroso.
Che qualche cosa sia doloroso o spiacevole dipende solo dalla vostra attitudine.

E dunque quando ci poniamo la questione del perché tutto è impermanente e la risposta è una sola… impermanenza… perché è così, perché così è buono.
Non è una cospirazione, non è una punizione e non è nemmeno una particolare benedizione.
E cosa capite? Realizzate quanto è futile l’attaccamento! Perché tutto è cambiamento e pure colui che si attacca cambia.
Vecchi amori del passato a cui avete promesso di non cambiare e fedeltà eterna e vi accorgete dopo vari anni, rincontrando il vostro antico amore, che siete cambiati; malgrado le promesse e tutto quanto. Anche l’attaccamento cambia, tutto cambia, tutto è rifiuto dell’attaccamento.
I maestri dicono che attaccarsi a qualche cosa è come cercare di lavarsi le stesse mani sporche nel medesimo fiume che scorre; perché le mani cambiano e il fiume scorre.
Realizzate che riflettere sull’impermanenza è riflettere sulla futilità dell’attaccamento.
Quando realizzate ciò resta solo amore e compassione.
Perché cos’è la compassione: è l’illimitato!
Perché cos’è l’amore: è l’illimitato!
Ma sfortunatamente pensiamo che l’attaccamento è amore! Bisogna riflettere su questo malinteso: l’attaccamento non è amore. Sicuramente dall’amore viene l’attaccamento, ma non dura a lungo. L’attaccamento è la ferita dell’amore, le sue cicatrici.
Osservate nelle relazioni… in occidente è differente.
All’est tutto è tradizione, la socialità e l’ambiente sono sicuri, sembra che tutto vada avanti senza cambiamenti particolari, allora l’attaccamento non è necessario, se ne sente meno il bisogno.
Ma nell’occidente ci sono così tanti cambiamenti nelle relazioni, si cambia. Se cambiando siete capaci di lasciare, di lasciare l’attaccamento ma di tenere l’amore e maturare, allora la relazione si espande e guarisce.
Ma se non è così diventa molto grave, pieno di sofferenza; solo brandelli di attaccamento, senza amore. Ci sono solo le cicatrici dell’attaccamento.
È importante quando si riflette sull’impermanenza, di capire quanto è futile il voler prendere. Perché nulla si può prendere.
Quando realizzate che tutto è impermanenza allora lo sentite fino in fondo al cuore.
Faccio un esempio terribile, terribile esempio: fate un appuntamento, ma non siete molto sicuri di quando e come; allora se cambia non è un problema.
Ma se fate un appuntamento preciso e siete sicuri dell’ora e del dove e invece cambia, allora sarete delusi.
Se accettate precedentemente che tutto cambia e cambia, allora lo shock non sarà grande.
Non mettete tutte le uova in un solo paniere.
Lasciate spazio all’impermanenza.
L’impermanenza è la vostra sicurezza.
(legge)
Lo spirito del guerriero: benchè siamo convinti che lasciando tutto e aprendo la mano potremmo perdere tutto, la vita ci ha dimostrato svariate volte del contrario. Lasciare la presa è in realtà la vera via verso la libertà.
Quando le onde assaltano la riva le rocce non ne sono rovinate, al contrario: l’erosione le muta in forme armoniose.
I cambiamenti possono plasmare il nostro carattere e smussare ciò che in noi è aguzzo.
(parla)
Ecco una storia del maestro…che stava morendo di cancro e al momento della morte uno studente stava in grave lutto e allora il maestro gli disse di ringraziare l’impermanenza perché supporre che tutti e due possano vivere per sempre sarebbe terribile.
Soprattutto ciò vale nel caso che voi abbiate un carattere terribile, se non ci fosse l’impermanenza non ci sarebbe la possibilità di un cambiamento in meglio.
Il cambiamento vi da la possibilità cambiare, ma che cambiate o no dipende solo da voi.
(legge)
Sorvolare le tempeste del cambiamento ci permetterà di raggiungere una calma piena di dolcezza infrangibile.
La fiducia in noi stessi si rinforzerà e diventerà così forte che bontà e compassione sorgeranno naturalmente in noi irradiando gioia su coloro che ci circondano.
È questa bontà fondamentale, esistente in ognuno di noi, che sopravviverà alla morte.
La nostra vita è un insegnamento che ci aiuta a scoprire questa possente evoluzione ed è anche ciò che ci permette di realizzarla;
così che ogni volta che perdite e delusioni della vita ci danno una lezione di impermanenza ci avvicinano alla verità.
(fine lettura)

Abbiamo perso il Tibet; ho accettato abbastanza bene questo cambiamento, ma mi sono stupito dell’attitudine dei miei vicini (?).
Se la volontà del Buddha è di insegnarci che tutto è impermanenza, quello che ci è capitato ci ha fatto entrare ancor più profondamente nella condizione di impermanenza.
Invece di farci cadere nello sconforto, ci ha portato ancora più vicino a casa: nella verità dell’impermanenza e ci ha fatto più forti.
È come il fuoco che trasforma il ferro in acciaio.
Il cambiamento e la sofferenza possono rinforzarvi, migliorarvi.
(legge)
Cadendo da una grande altezza non potete che atterrare sul terreno della verità. Le difficoltà e gli ostacoli sono spesso portatori insospettati di forza. Leggete le biografie dei maestri e scoprirete che se non avessero incontrato tante difficoltà non avrebbero potuto trovare la forza di superarle.
Questo è il caso del leggendario re Ghesha, che vuol dire che non si può spezzare. Fin dalla sua nascita il suo precettore Trutum (cattivo tipo, cattivo carattere) fece di tutto per ucciderlo e con ciò si rinforzò. In definitiva fu grazie ai tentativi di ucciderlo del suo precettore (zio ?) che Ghesha divenne così forte.
Da cui il proverbio tibetano: “senza le cattive azioni di Trutum, Ghesha non sarebbe diventato così forte”.
Questo vuol dire che più si è cattivi e più si crea forza.
È stato così anche nella mia vita: più ho avuto difficoltà, più forte sono diventato, questo per la grazia dell’insegnamento.
Per i tibetani Ghesha è anche un guerriero spirituale, con carattere intrepido, forte e dolce allo stesso tempo.
I guerrieri spirituali sentono la paura, ma hanno sufficiente coraggio per osare gustare la sofferenza per stabilire un rapporto chiaro con la loro paura fondamentale in modo da sfruttare le difficoltà per ottenere insegnamenti.
Come dice il maestro: diventare guerriero vuol dire che possiamo cambiare la nostra meschina ricerca di sicurezza con una vita più vasta, intrisa di audacia, ampiezza di spirito e di eroismo autentico.
Il tesoro di questo più vasto punto di vista è quello di sentirsi a proprio agio nel cambiamento e di divenire amico dell’impermanenza.
Questo era uno dei punti importanti, il seguente punto importante è il messaggio contenuto nell’impermanenza: è la speranza contenuta nella morte.

Approfondendo l’esame sull’impermanenza si trova che c’è un altro aspetto fondamentale, un messaggio di speranza immenso: è di aprire gli occhi alla Natura Fondamentale dell’Universo e alle relazioni straordinarie che intratteniamo con essa.
Se tutto è impermanenza tutto ciò che noi chiamiamo vuoto, cioè senza esistenza stabile o durevole, sono tutte le cose intese nelle loro vere relazioni, cioè non indipendenti, ma interdipendenti.
Il Buddha presenta l’Universo come un’immensa rete intessuta di diamanti scintillanti dove ogni diamante, con le sue innumerevoli facce, rispecchia tutti gli altri diamanti della rete.
Immaginate un’onda sulla superficie del mare: sotto una certa angolazione sembra avere un’esistenza propria, un inizio e una fine; sotto un altro punto di vista l’onda non esiste da sola: è un comportamento dell’acqua, vuota come entità separata, ma piena d’acqua. Vuoto e pieno.
Se riflettete sull’onda vi rendete conto che è un fenomeno temporaneo reso possibile dal vento e dall’acqua che dipendono a loro volta da circostanze in continua fluttuazione.
Vi accorgete anche che ogni onda è legata ad ogni altra onda.
Se guardate più da vicino nulla ha un’esistenza propria: è questa assenza di esistenza indipendente che chiamiamo vacuità.
Pensate a un albero: potete considerarlo come l’onda, come un oggetto definito; ciò e vero fino a un certo livello, ma ad un esame più attento vi accorgerete che definitivamente non possiede un’esistenza indipendente. Se lo contemplate noterete che si dissolve in una rete estremamente sottile di relazioni che si estende all’Universo intero: la pioggia che cade sulle sue foglie, il vento che l’agita, il suolo che lo nutre e lo fa vivere, le stagioni, la luce della luna, delle stelle e del sole; tutto questo fa parte dell’albero.
Continuando la vostra analisi vi accorgerete che tutto nell’Universo partecipa a fare in modo che l’albero sia ciò che è: in nessun momento è isolato dal resto del mondo, perché in ogni momento la sua natura si modifica impercettibilmente.
Questo è ciò che intendiamo quando diciamo che le cose sono vuote: che non hanno un’esistenza indipendente.

La scienza moderna ci parla di un registro estremamente vasto di correlazioni.
Gli ecologisti sanno che un albero in fiamme nella foresta amazzonica modifica in un certo modo l’aria respirata da un abitante di Parigi; che il fremito d’ali di una farfalle nello Yucatan influenza la vita di una felce nei boschi europei.
I biologi iniziano a scoprire la danza complessa e favolosa dei geni che creano la personalità e l’identità; una danza che ha le sue origini in un passato molto lontano e che dimostra che ogni identità è composta da un nugolo di influenze differenti.
I fisici ci hanno fatto conoscere il mondo delle particelle quantiche, un mondo che assomiglia stranamente a quello descritto dal Buddha quando descrive la rete scintillante che si estende nell’Universo: come i diamanti della rete le particelle esistono tutte potenzialmente in quanto combinazioni differenti di altre particelle.

Sappiate che tutte le cose sono così: come un’eco prodotta da armonie e lamenti, me nella eco non c’è melodia, non ci sono lamenti.
Sappiate che tutte le cose sono così: come un mago che crea l’illusione di cavalli, di buoi, carri e altre cose.
Nulla è così come sembra.
La contemplazione della natura che sembra il sogno della realtà non deve in nessun caso renderci freddi, disperati o amareggiati, può al contrario rilevare un caldo cuore, una compassione vigorosa e tenera di cui siamo a malapena coscienti e di conseguenza una generosità sempre maggiore verso tutto e tutti.
Il grande santo Milarepa disse: “Riconoscendo la vacuità, il vuoto, siate pieni di compassione, perché dal momento che la contemplazione ci può permettere di vedere chiaramente il vuoto e l’interdipendenza di tutto e di tutti, il mondo si rivelerà illuminato di una luce più vivida e scintillante, come la rete intessuta di diamanti di cui parlava il Buddha”.
Ecco che allora non avremo più bisogno di proteggerci o di far finta e diventerà più facile seguire i consigli di quel maestro tibetano: “Riconoscete senza posa il carattere simile a un sogno della realtà e attaccamento e avversione si ridurranno”.
Coltivate l’aiuto verso tutti gli esseri.
Siate pieni d’amore e compassione; qualsiasi attitudine degli altri nei vostri confronti e ciò che vi faranno, avrà meno peso se lo accoglierete come un sogno.
La chiave è di conservare un’intenzione positiva durante il sogno: questo è il punto essenziale, questa è la vera spiritualità.
La vera spiritualità consiste anche nell’essere coscienti del fatto che noi siamo interdipendenti con ogni cosa e ogni essere.
Ogni più piccolo nostro pensiero, parola e azione avrà reali ripercussioni nell’intero Universo.
Gettate un sasso in uno stagno: creerà delle onde che si incontrano creandone delle nuove: tutto è inestricabilmente legato. Verremo così a comprendere che siamo responsabili di ogni nostro pensiero, parola e azione; responsabili di fatto di noi stessi e di tutti gli esseri o di tutte le cose e persino dell’intero Universo.

Il Dalai Lama ha detto: “nel vostro mondo contemporaneo fatto da una interdipendenza estrema, le nazioni non possono più risolvere da sole la maggior parte dei loro problemi; abbiamo bisogno gli uni degli altri. Bisogna però acquisire un senso universale della nostra responsabilità collettiva e anche individuale nel proteggere e nutrire la famiglia planetaria e di prendersi cura dei suoi elementi più deboli e proteggere e prendersi cura dell’ambiente nel quale viviamo”.
(fine lettura)

Buongiorno. (sorride)
Questa è una parte molto importante, gira molto bene: è una specie di ispirazione e anche quando la leggo io, sento che è viva, come se la ricreassi leggendola.
Il punto è questo: prendetela come filosofia, perché quando non ci si crede la si chiama filosofia, ma quando la si pratica, la si accetta è ciò che si chiama la vista, la visione.
Secondo la visione, o secondo la religione buddista se non si è credenti, tutto è interdipendente.
La cosa più importante è l’interdipendenza, uno; impermanenza, due; il non ego o la vacuità, tre; e il Karma.
Tutto questo è riunito, insieme: non c’è il Karma da una parte, la vacuità dall’altra, l’impermanenza ancora più in là e il non ego altrove. No, tutto è insieme, perché ogni cosa è interdipendente ed è per questo che è impermanente.
Siccome tutto è interdipendente nulla è indipendente, non ha delle caratteristiche proprie, cambia continuamente, non ha un ego, non ha un’identità che sia eterna.
…e quando parliamo di ego, perché ognuno di noi ha un ego, ma esso cambia continuamente e quindi è meglio non crederci troppo. Questo vuol dire: non prendetevi mai troppo sul serio; non prendete voi stessi mai troppo sul serio, perché è un’illusione.
Ebbene, quando si dice illusione: è difficile, perché non è un’illusione: è reale! Questo è reale (prende l’orologio e lo agita), questo non è un’illusione (prende l’astuccio degli occhiali, il libro), è tutto reale.
Ma questo (l’orologio) si romperà un giorno, quindi è tanto buono quanto un’illusione: siccome si romperà… e anche il tè è finito, e fortunatamente anche questa conferenza avrà una fine, grazie a Dio anch’essa è impermanente, se fosse permanente sarebbe terribile.
Quindi, vedete, tutto è interdipendente.
Questo mi ricorda un detto del Dalai Lama: “ Se voi volete l’essenza di tutte le scuole buddiste (ne fa la lista), di tutti i tempi e luoghi, il punto di vista comune è uno e essenziale: ogni cosa è interdipendente”.
E qual è l’azione di un praticante? È l’altruismo; e difatti uno ispira l’altro, perché tutto è interdipendente e quindi: l’altruismo.
E non è viceversa, perché se non fosse interdipendente allora sarebbe egocentrico.
Dunque, siccome tutto è interdipendente e si manifesta sotto forma di impermanenza, che è il “sintomo” dell’interdipendenza… siccome tutto cambia, non si può prendere o accumulare, non c’è un’identità definita, non c’è nulla che dura.
Anche il suono della mia voce segue il microfono: se lo allontano non si sente, se lo avvicino si sente più forte; questa è interdipendenza: causa e effetto.
(gioca con il microfono agitandolo davanti alla bocca parlando; alcuni minuti prima aveva già provato ad allontanarlo da sé, questo significa che alcuni interventi esplicativi sono improvvisati, non studiati in anticipo, n.d.r.)

Dunque vuoto: vuoto vuol dire che non ha caratteristiche proprie e perciò tutto quello che facciamo, diciamo o pensiamo ha un valore, conta, perché tutto è fluido.
Se tutto fosse permanente quello che faremmo non avrebbe importanza, nulla cambierebbe.
Quindi il Karma e tutto il resto sono legati e quello che è straordinario nel buddismo è come la verità sia così coerente: se non fosse coerente non sarebbe vera.
(il mistero o i misteri non rivelabili sono barzellette per i bimbi: il mistero è ciò che tiene il credente nello stato di dipendenza, tanto caro al clero delle chiese istituzionalizzate, n.d.r.)
Ecco perché nel buddismo puoi guardare da tutti i lati, da tutte le angolazioni e non troverai mai una contraddizione.
Se trovate delle contraddizioni è perché non avete capito bene qualche cosa, questo è sicuro!
Questo è molto importante: è l’essenza della filosofia buddista.

(legge)
L’impermanenza ci ha dunque già rivelato molte verità, ma ci riserva un ultimo tesoro spesso nascosto, di cui non sospettiamo l’esistenza o non lo riconosciamo ed è pertanto quello che ci riguarda più intimamente degli altri.
Il poeta tedesco R. M. Rilke scrisse che le paure più profonde sono come dei draghi che sono a guardia dei tesori più nascosti. La paura, che è risvegliata dall’impermanenza, che nulla sia reale e che nulla dura, si rivela in fondo la nostra migliore amica, perché ci spinge a porci la domanda seguente: se tutto cambia o muore che cosa può dirsi veramente reale?
Esiste dietro l’apparenza qualche cosa di illimitato, di immensamente prezioso, in onore del quale si sviluppa la danza del cambiamento e dell’impermanenza?
Esiste qualche cosa che sopravvive oltre a ciò che chiamiamo morte?
Se riflettiamo con attenzione su queste domande saremo a poco a poco portati a cambiare la nostra maniera di vedere le cose.
Grazie alla continua contemplazione e al costante addestramento nel lasciare la presa, riusciamo a scoprire in noi stessi quello che noi stessi non riusciamo a descrivere o a nominare: è concettualizzare (?).
Scopriamo allora ciò che è soggiacente a tutti i cambiamenti, a tutte le morti del mondo.
I desideri e le distrazioni limitate a cui ci ha condannato la nostra ricerca a vuoto riguardo l’impermanenza cominciano allora a perdere la loro forza e a staccarsi da noi.
Durante questo processo, a varie riprese, abbiamo delle visioni illuminanti sulle vaste implicazioni soggiacenti alle verità dell’impermanenza; come se avessimo passato la nostra vita in un aereo in volo che attraversa nuvole scure e turbolente e improvvisamente l’aereo si solleva verso il cielo chiaro e senza nuvole.
Ispirati e esaltati da questa esperienza emergiamo in dimensioni libere, scopriamo una pace profonda, nella gioia e nella fiducia in noi stessi, che ci meraviglierà e farà scaturire gradualmente la certezza che esiste in noi qualche cosa che nulla può alterare o distruggere e che non può morire.
Milarepa scrisse: “Nell’orrore della morte sono andato sulle montagne e sempre meditando sull’incertezza dell’ora della morte, ho conquistato la cittadella della Natura dello Spirito (Nature of Mind) immortale e infinito. Adesso ogni paura della morte è scomparsa definitivamente.”
Così prenderemo a poco a poco coscienza in noi stessi della presenza serena e simile al cielo; di ciò che Milarepa chiama la Natura immortale e infinita dello Spirito.
Quando questo nuovo stato costante diverrà vivo e quasi ininterrotto, si produrrà allora ciò che le Upanishad designano come un “capovolgimento del cielo della coscienza”: una rivelazione personale, senza riferimenti a nessun concetto, su ciò che noi siamo, della ragione per cui noi siamo qui e sul modo in cui dobbiamo agire.
In definitiva questo equivale a una nuova vita, una seconda nascita, potremmo dire una resurrezione.
Non è forse un mistero splendido e appagante che, grazie a una contemplazione continua e intrepida sulla verità del cambiamento e dell’impermanenza, nella gratitudine e nella gioia, arriviamo gradualmente, a trovarci di fronte alla verità dell’immobile… di fronte alla Natura immortale e infinita dello Spirito?

Vorrei aggiungere qualche cosa di personale a questa descrizione: generalmente quando sono distratto ho paura della morte, ma ci sono dei rari momenti, quando sono ispirato dagli insegnamenti e dalla pratica, in cui entro in questa dimensione che possiamo chiamare la Natura dello Spirito (Nature of Mind) e ripetutamente, quando raggiungo questo livello, spesso mi dico: “Ohh, se dovessi morire in questo stato, credo che tutto andrebbe per il verso giusto!”.
Ma il problema è che non dura molto a lungo. Bisogna tenere sul “Ohh”; questo è il fine della meditazione: continuare a mantenere questo stato, perché se potreste morire in questo stato, benché ciò che abbiamo fatto nella vita conti, lo stato del nostro spirito ( si gratta, n.d.r.) durante la morte è cruciale per determinare il nostro futuro.
Con il dono dell’Impermanenza realizzate ciò che Milarepa descrisse: “…ho conquistato la cittadella della Natura dello Spirito immortale e infinito. Adesso ogni paura della morte è scomparsa definitivamente”.

Dove punta, cosa ci mostra l’impermanenza?
(punta l’indice verso la platea, n.d.r.)
Ci mostra la verità della Natura dello Spirito (Nature of Mind): l’impemanenza porta alla Natura dello Spirito.
Ecco perché nella prossima seconda sessione parlerò dello Spirito (Mind) e della Natura dello Spirito (Nature of Mind).
Lo Spirito (Mind) è mondano, la Natura dello Spirito è immobile; uno è come il monte l’altra è come il cielo.
È così che le cose si legano e la cosa più importante è la Natura dello Spirito.
Difatti in tutto l’insegnamento del libro della vita e della morte tibetano la cosa più importante è di portarci alla realizzazione della Natura dello Spirito; così nella tradizione buddista, e soprattutto in quella tibetana, quando si segue un maestro, il punto finale dell’addestramento è che la Natura dello Spirito vi sia rivelata grazie alla vostra pratica, la purificazione, ma alla fine è il maestro che vi svela cos’è la vostra Natura dello Spirito (Nature of Mind).
Vedere ciò vi dà fiducia nella vostra reale natura e in questo stato potete lasciare andare tutto quanto: perché abbiamo conquistato il cielo e possiamo lasciare andare le nuvole.
(in francese sorridendo, ripete alcune frasi che hanno marcato i punti cruciali della conferenza: “C’est ça! ça y est, c’est bon!”, n.d.r.)

La volta scorsa ero ispirato di fronte alla platea, ma oggi sono contento di quello che ho fatto perché sono riuscito a completare qualche cosa riguardo alla morte e all’impermanenza.
Ora, come dice il Buddha: “dipende da voi”.

Thank you.









CDV VIII.MMV